Quella che vi racconto è una storia medievale, tratta dall'”Itinerarium terrae tartarorum”. scritta poco prima della metà del 1200 dal frate francescano fiammingo Guglielmo di Rubruck.
Il contesto è quello di un mondo cristiano in lotta contro i mussulmani (contro cui ha scatenato le Crociate) e da nuovi invasori: i tatari (o tartari) provenienti dalla Mongolia, i quali – con i loro veloci cavallini – hanno raggiunto prima la Russia e poi l’Ungheria, la Polonia e la Moldavia, con una rapidità e una aggressività militare prima sconosciute.
Nel 1241, improvvisamente, sono tornati invitti nell’estrema Asia nord-orientale da cui provenivano, per partecipare all’elezione del loro Khan, dopo la morte del predecessore.
Ma l’Occidente sa che ricompariranno e dunque invia – quali esploratori, antropologi e spie – vari frati francescani.
Uno di questi, sopra citato, racconta di un ‘concilium’ (oggi diremmo un ‘vertice’), presso il Gran Khan Mòngke al quale partecipano cristiani nestoriani (eretici), mussulmani, buddisti e tatari (fedeli dello sciamanesimo).
L’obiettivo è verificare se esista la possibilità d’un’intesa ecumenica e politica, che eviti guerre sanguinose e avvii un’inedita ‘coesistenza pacifica’.
Il Gran Khan così argomenta: “Proprio come Dio ha dato tante dita, così ha concesso all’umanità sentieri diversi”.
È, a ben vedere, la posizione attuale di papa Francesco: Dio è uno solo; si è espresso agli umani in tempi e modi diversi; nessuna guerra di religione è sensata.
Ma il nostro frate – malgrado il precedente dello straordinario incontro nel 1219 di Francesco d’Assisi col sultano Malik-al-Kamil – rigetta ogni dialogo e anzi si lamenta di non aver potuto ricorrere alle armi per convertire gli infedeli.
Due mentalità, due culture: tuttora confliggenti. Da un lato, la sperimentazione del dialogo tra diversi. Dall’altro, l’ossessione identitaria dei possessori di un’unica verità rivelata.
Dopo quasi 800 anni siamo ancora chiamati a schierarci dalla parte dell’unica umanità o da quella degli uni contro tutti gli altri (del noi nel giusto e degli altri da odiare, disprezzare, tener lontani o sottomettere, magari uccidere).
Educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali, specialmente quella religiosa, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro, non ce n’è un’altra (Discorso di Papa Francesco ai partecipanti alla conferenza internazionale per la pace).
Al-Azhar Conference Centre, Il Cairo
Venerdì, 28 aprile 2017
Ho letto volentieri molte delle tue considerazioni. Su questa noto un percorso carsico nella storia del dialogo all’interno della chiesa. Grazie