Una favola per iniziare l’anno

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A proposito di fiabe africane, eccone un’altra kenyota. In un grande parco protetto è morto un elefantino, erroneamente ucciso da un bracconiere alla ricerca di zanne d’avorio (stavolta non era l’ex-re di Spagna con amante al seguito).
La madre resta per giorni vicino al cadavere e lo piange (sì, questi pachidermi piangono). Attorno a lei si stringono a lungo molti altri membri del gruppo (gli elefanti sanno cos’è il dolore e lo condividono).
Un altro giovane della mandria chiede al più anziano: “Non c’è più nulla da fare?”. La risposta è: “Per lui no ma per la nostra comunità sì: fare altri piccoli e ricordare il fratellino defunto con periodici barriti, affinché l’elefantino che è andato altrove senta da lontano che non l’abbiamo dimenticato”.
È per questo che nell’Africa centrale le tribù primitive (primitive?) ogni tanto, senza apparente ragione, alzano grida poderose: per ricordare i loro morti, per non interrompere mai la catena che ci rende membri della comunità, anche oltre la vita.
Testo del movimento Shouting for the community

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