Ecco la copertina del mitico “La scienza in cucina” di Pellegrino Artusi.
Quand’ero bambino, quel manuale troneggiava in cucina, compulsato e citato da mia nonna Lavinia, regina dell’alimentazione domestica. A volte ne leggeva le ricette, scritte in uno splendido italiano ottocentesco. E io, che l’ascoltavo, le chiedevo spesso: “ma quant’è un pizzico di sale?”. Lei mi rispondeva tautologicamente: “eh, un pizzico” e – se chiedevo specifiche più esatte – mi diceva seccata: “lo vedrai con l’esperienza!”. E così il mistero del “pizzico di…” mi ha tormentato per tutta la vita.
Ora, da vecchio, l’ho capito: quell’espressione significa poco, quanto basta, di qualcosa che è essenziale a insaporire, ma che – se introdotto nella preparazione alimentare in quantità un po’ o molto superiore – rovinerebbe il piatto.
Ora, questa faccenda del “pizzico di…” non è affatto secondaria nel vivere.
Per esempio, un poco di ironia è segno di intelligenza e toglie banalità a un discorso; ma, se si esagera, appare sgradito, aggressivo, inopportuno.
Lo stesso vale per la seduzione: un lieve complimento, buttato lì quasi a caso, rende graditi a lei o lui; se, all’opposto, risulta insistito o retorico, provoca un’irritazione controproducente.
E l’aggressività? Somministrata con misura trasmette la verità e l’autonomia dell’emittente; se esorbitante rende odiosi e ostili.
Vale sempre il suggerimento di usare “un pizzico di…”: anche per non farsi travolgere dalle proprie passioni.
Certo, è possibile – come insegna Agatha Christie – mettere in un bicchiere di cognac un pizzico di curaro: ma questa è un’altra storia.
Credits: dal web
Chissa se nella versione originale Mary Poppins diceva “basta un pizzico di zucchero e la pillola va giù”.
Ogni riferimento alla nuova compagine governativa è puramente casuale.