Il cavallo di Troia

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Finisco oggi l’esame di 4 opzioni alternative possibili per trarsi fuori da una condizione di impotenza. Sinora ho citato la compotenza (ossia l’allearsi con altri al fine di accrescere la massa d’urto contro ciò che ci blocca); l’aggiramento della mossa del cavallo a scacchi; la rinuncia, cessando di dare rilievo dell’ostacolo paralizzante tramite un mutamento di sguardo su di esso.

Manca la quarta strategia: quella dell’astuzia. Il modello è e sarà sempre quello del cavallo di Troia, inventato dal geniale Odisseo: entrare con uno strattagemma nelle mura di Ilio, approfittando della minore intelligenza e della sicumera dei troiani, malgrado la profezia inascoltata della loro Cassandra.

Questa tecnica ha due varianti: o usare complici (e traditori) acquisiti dentro il campo avversario (corrompendoli o – meglio – condividendo con loro ideali superiori, come nel caso del gruppo di comunisti di Cambridge, divenuti spie convinte dell’Unione Sovietica); oppure entrare con un trucco – come fece Ulisse – nelle fila del nemico per aprirne le porte, per trasformare l’impotenza in vittoria.

Con un’aggiunta: questo tipo di astuzia si fonda su tre capacità. Il vedere oltre gli schemi tradizionali. Il conoscere o intuire i punti di debolezza degli ‘altri’. L’utilizzare lo sberleffo, una forma di ironia non banale, notoriamente preclusa agli idioti (spesso il potere è tale).

De hoc satis, su questo tema mi fermo qui.

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