Tutto qui?

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Dopo la compotenza e l’aggiramento, suggerisco oggi una terza strategia contro quel drammatico senso di impotenza nell’affrontare un ostacolo che spesso coglie noi umani.

Si tratta, in questo caso, del depotenziamento di ciò che ci è ostile e ci blocca paralizzandoci.

Depotenziamento non vuol dire attacco parzialmente riuscito, semi-smantellamento di quel che ci frena e ci incastra. No, qui è inteso come modifica della valutazione della sua importanza per noi.

Faccio due esempi. Quello di qualcuno che si sente inabile a combattere ancora col suo partner, ma che insiste nella lotta perdente e infelicitante: perchè non ipotizzare di ritirarsi dal rapporto con esso, al posto di incaponirsi ad amarlo e odiarlo insieme, oppure di renderlo meno cruciale nella propria vita?

Perchè battere la testa contro il muro per superare con successo – senza riuscirci – l’esame di analisi a Ingegneria, quando si potrebbe accettare un misero 18 oppure passare a un’altra facoltà?

A volte sentirsi potenti e sereni può derivare dal rivedere l’importanza dell’obiettivo, con un nuovo sguardo che ne riduce il rilievo oppure con l’uso dell’arte della fuga.

È la cultura nippo-tedesco-americana quella che ci insegna a tentar di superare ogni prova, a scalare muri sempre più alti. Ma non sempre è una cultura saggia: nella vita rivedere le priorità è una tecnica utile e rasserenante, che vince l’impotenza togliendo rilevanza al ‘nemico’.

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