Memoria condivisa?

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È da anni che siamo oberati dalla richiesta di costruire una memoria condivisa.

Non sono d’accordo. Se la società è – come è – divisa in classi, etnie, approcci filosofici, differenze e conflitti, allora pretendere che abbiamo gli stessi ricordi, i medesimi giudizi, analoghi riferimenti è insensato e pericoloso.

Tre esempi. La Grande Guerra, oggetto nel 2018 di numerose rievocazioni (eccellenti quelle italiane e straniere proposte da RAI Storia): c’è chi la rivendica come grande vittoria nazionale e chi – come me – continua a ritenerla un inutile massacro, uno scontro folle di nazionalismi deteriori, un regalo ai militarismi genocidari e ai mercanti di morte, il crogiolo del nazifascismo, eccetera.

La Seconda Guerra Mondiale. Fu o no uno scontro mortale tra gli imperialismi razzisti tedesco, giapponese e italiano – da un lato – e, dall’altro, le forze della democrazia e del socialismo? Cos’ho io in comune con i neo-fascisti, come posso condividere valori ed esperienze con i barbari repubblichini? Almirante ha blaterato per anni di ‘riconciliazione nazionale’, mentre molti – a sinistra e non solo – non vollero e non vogliono affatto riconciliarsi con Mussolini, Hitler e i loro eredi.

La Chiesa di Pio IX, Pio XII, papa Ratzinger, Camillo Ruini, ecc.: il loro modello di società e di religiosità vede tanti cattolici (e non) persistenti nel rifiuto di quella cultura integralista, reazionaria, illiberale, sessuofoba che non è quella – alternativa – del cristianesimo popolare e innovatore.

Certo, lo studio della storia tiene conto di ogni posizione e ad ogni voce dà spazio per capire il passato. Epperò anch’essa non è neutrale: anzi indica con chiarezza responsabilità e colpe.

Non c’è quasi niente da condividere nella storia dei conflitti: conoscere e capire anche ‘gli altri’ non vuol dire condividere alcunché. Meglio contro-dividere, o ri-dividere, anche per continuare a rappresentare le grandi differenze insopprimibili nella comune umanità.

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