La croce

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Questo è un fotogramma del capolavoro di Luchino Visconti ‘Rocco e i suoi fratelli’. Lei, Annie Girardot, sta per essere uccisa da Renato Salvatori all’idroscalo di Milano. L’omicidio è rappresentato come una crocifissione. E tale è o dovrebbe essere, nella nostra cultura sociale imbevuta di cristianesimo, qualunque omicidio: la figura, milioni di volte raffigurata, di Gesù in croce non si riferisce solo alla morte del Salvatore nei testi evangelici, ma rinvia all’idea stessa del sopprimere con violenza e ferocia. Indica il potere immorale di punire togliendo la vita, il che ha un carattere simbolico universale.

Al proposito vivo una contraddizione: come laico, mi ripugna l’utilizzo di stilemi religiosi, di qualunque confessione, in ambiti pubblici; come persona, sin dalla scuola materna (allora l’asilo comunale) ho sempre sentito il fascino del crocefisso in classe, mai sentendomi offeso in quanto ebreo. Giocava e gioca qui il potere dei simboli, il loro essere e dire al di là di sé stessi: la loro onnivalenza, intesa come forza sintetica e coinvolgente anche i non fedeli, gli ‘altri’.

Visconti era ateo e comunista, ma credo che in quella scena abbia raggiunto il piano dell’universale, usando un riferimento specifico come trasmissione di un messaggio trasversale, valido per tutti.

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