Gentile, gentili

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Gentile all’origine indicava l’appartenenza alla ‘gens’, alla stirpe. Poi, sottintendendo ‘buona’, ha finito con l’evocare un’élite: anzitutto i nobili (tuttora si usano in tal senso gentiluomo e gentildonna). Quindi, abbandonando il ‘sangue blu’, quell’aggettivo è passato a qualificare doti spirituali, sentimenti elevati (ricordate il Dolce Stil Novo?). Infine, oggi, denota gli individui e i comportamenti garbati, delicati, cortesi, affabili, amabili e talora anche le donne – più raramente gli uomini – piacevoli alla vista, fini, delicati, graziosi (in Toscana pure esili); e cose (profumi, sapori, ecc.) delicate, fini, di superiore qualità. Per gli ebrei, invece, i gentili sono i non ebrei, i goim.

In questa fase storica la gentilezza, specie quella d’animo, appare a rischio di scomparsa. Da alcuni viene identificata con la formale buona educazione. Da altri con la debolezza, l’’assenza di palle’, la carenza d’iniziativa. Altri ancora semplicemente la irridono, considerandola obsoleta, effeminata, decadente.

Eppure, del garbo, della cortesia, della delicatezza abbiamo un gran bisogno: l’esistenza è alleggerita dall’incontro con interlocutori amabili e ha a che fare col rispetto dell’Altro, col contenimento dell’aggressività, con l’opzione a favore della convivenza civile. Infatti, il contrario della gentilezza non è la scortesia ma l’insensibilità.

Un rivoluzionario sosteneva che i cambiamenti profondi negli assetti sociali impongono spesso grandi discontinuità, strappi, fratture; ma aggiungeva anche che, se non si torna rapidamente alla cortesia genuina nei rapporti umani, allora è assai probabile che si arriverà presto a un nuovo regime. Si chiamava Lev Trotsky e, pensando a Stalin, sapeva quel che si diceva. Venne ucciso da sicari del georgiano in modo poco amabile…

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