W Gianburrasca

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Perché non parlo più di felicità, alla quale in questo inizio del secolo ho dedicato due libri e – all’inizio – una parte delle attività della start up Sòno? I motivi sono diversi, talché ne tratterò in più ‘stimoli’ di questo blog.

Il primo ha a che fare con l’utilizzo oggi prevalente dell’ideologia della felicità: un utilizzo conservatore, a volte persino reazionario. Tale ideologia, infatti, ha varie caratteristiche-chiave. La prima è la direttività: non dice “puoi essere felice se lo vuoi”, ma “devi essere felice” per essere sereno, sano, apprezzato, trendy, ‘giusto’. Ora, nella società odierna – quella dell’individualismo etero-diretto – i doveri, i ‘must’ si moltiplicano, togliendo libertà alle persone, convincendole a omologarsi.

L’esperienza di Sòno, invece, mostra che molti umani si auto-realizzano differenziandosi, opponendosi, scegliendo l’anomia, decidendo consapevolmente di esprimersi fuori dal coro. Non tutti identificano la felicità con l’integrazione nella cultura dominante, nella famiglia, nell’impresa, nella squadra sportiva, ecc.. Anzi, il percorso trimestrale dei ‘racconti di sé’ porta spesso coloro che lo intraprendono a riscoprire le proprie dimensioni originali e spesso originarie (proto-infantili), creative, fantasiose, indisciplinate, birbanti.

Tante donne e alcuni uomini desiderano trovare in sé la forza di liberarsi dalle loro catene, dagli imperativi che hanno introiettato, dalla pressante richiesta di essere sempre ‘bravi bambini’ conformisti ed efficienti, schiavi e per di più felici, soddisfatti, euforici. Troppe scuole (psicologiche, meditative, di counselor e coach, ecc.) risultano funzionali a un’oliata integrazione nel sistema. E, poiché questo sistema è folle, agiscono come gli psicofarmaci dall’Ottocento imposti ai cosiddetti matti: soggetti che spesso pazzi non erano e non sono, ma solo estranei al circuito della moderazione clericale, borghese, aziendalista, militare, autoritaria.

Perché ho scritto queste righe? Per valorizzare i Gianburrasca, i monelli, le cattive bambine.

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