Una favola cilena

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Nel 1541 anche in Cile giunsero i feroci ‘conquistadores’ cristiani, guidati da Pedro de Valdivia, con l’obiettivo di sottomettere i mapuches, di razziare tutto quel che potevano, di convertire o uccidere le popolazioni locali.

Fu un’ecatombe, un genocidio (diremmo oggi): deplorato e denunciato poi – troppo tardi – dai gesuiti.

La reazione degli autoctoni fu disperata, scissa tra – da un lato – aspri combattimenti, destinati a sconfitta certa dopo lunghe ed eroiche lotte, per la disparità delle forze e degli strumenti bellici, oltre che per i virus e i batteri portati dagli spagnoli, che li aiutarono nello sterminio; e – dall’altra parte – compromessi e finte conversioni per salvare la pelle.

Ma, racconta una fiaba cilena, si aggiunse una terza via, nata da un’osservazione di contadini locali: costoro avevano notato che gli ispanici cattolici valutavano in modo diverso l’atto di sputare.

Per i primi si trattava di un’abitudine antica e diffusissima, per nulla deplorevole, legata alla masticazione delle foglie di coca, ottimo rasserenante e anti-fame, oltre che di altre erbe medicinali tradizionali (il dittamo, ‘in primis’). Per i secondi, gli spagnoli, era qualcosa di sporco, schifoso, indicatore di disprezzo.

Da qui la pensata: una comunità di agricoltori regalò una coppia di lama al governatore iberico, fingendo di onorarlo. In realtà, sapevano benissimo che quegli animali usano sputacchiare in ogni luogo e occasione, specie se si sentono minacciati. Dunque, per sempre i lama avrebbero – inconsapevoli – testimoniato il disprezzo che i nuovi schiavi provavano per i colonizzatori.

Anche oggi, a ben pensarci, abbiamo un’arma in più per contrastare i nuovi e vecchi poteri asserventi, dicendo loro che ci fanno schifo. W il lama!

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