Una delle conseguenze dell’isolamento di massa è la modifica per molti del rapporto col tempo.
Per i più il poter uscire raramente e per poco determina una insolita dilatazione dei tempi di vita: una sorta di allungamento delle giornate per le minori attività da svolgere e un minore stress da corsa inarrestabile. Il che dà detensione, relax, riposo, sperimentazione di nuove esperienze e sensazioni, talora pigrizia e noia.
Per altri, invece, la rinuncia coatta al consueto iper-attivismo, certo logorante ma eccitante, induce vissuti di perdita, carcerazione, stress da vuoto. La difficoltà di strutturare e occupare il tempo fa sentire svuotati, inutili, nervosi: in sostanza, costoro sono simili ai tossicodipendenti in crisi di astinenza.
Un terzo ‘cluster’ appare connotato da una ricca alternanza tra momenti intensi e momenti laschi e semi-vuoti. È, questo, il tipo più adatto a viver bene nell’era del Covid-19 proprio per il suo flessibile passaggio da uno stato all’altro, per la sua poliedricità. Esso sa che, pure in queste circostanze, c’è un tempo per correre veloce e un tempo per sostare, un tempo per agire e uno per meditare.
Una cultura monadica del tempo implica povertà e rigidità esistenziali; una – all’opposto – plurale coincide con l’adattabilità e la resistenza alle pretese degli altri e del potere normativo.
#maipiucomeprima
La lentezza anticipa la frenesia che vivremo dopo, frenesia e imbarbarimento, lentezza e riflessione. O l’opposto. Chissà. Un abbraccio Enrico.
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