Scusami, Franco

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Pochi giorni fa è morto a Milano Franco Schönheit, deportato ragazzino nel lager nazista di Buchenwald insieme al padre. Furono tra i pochi a tornare vivi, nella natia Ferrara, quella raccontata da Giorgio Bassani. Tacque per decenni, poi – come Liliana Segre – dedicò molto tempo a dar testimonianza agli studenti dell’orrore vissuto.
Desidero ricordare due piccoli episodi sconosciuti, ai quali ho assistito.
Il primo è del 1952 (avevo meno di sei anni). Franco e la moglie Dori, amici di famiglia, sono a cena da noi. Giugno milanese, clima caldo, finestre aperte, chiacchiere serene. A un certo punto un cane lupo abbaia furiosamente in strada. Franco comincia ad agitarsi, dà fuori da matto. Dori lo prende con dolcezza, lo accarezza, lo porta a casa. La mattina dopo chiama mia madre per scusarsi: “Sai, Franco non ce l’ha fatta a risentire quel cane urlare. Gli ricorda quando, nel campo, alcuni detenuti ogni giorno correvano e si gettavano a braccia aperte contro la barriera elettrificata di filo spinato, per darsi la morte. Le SS scatenavano i cani lupo affinché dilaniassero i corpi dei suicidi, che pur stavano già crepando. Lo facevano perché il cercar la propria fine era per loro una sottrazione di potere, l’affermazione finale della libertà personale che essi volevano sopprimere”.
Dopo molti anni muore il padre di Franco. Cimitero israelitico di Ferrara, cerimonia laica, il rabbino legge il Kidush (la preghiera israelita per i defunti), poi Franco dice poche parole rivolgendosi direttamente all’amato genitore. Tra le altre: “Ricordi, papà, quando eravamo in tanti – nudi – in fila per la selezione (a sinistra quelli da inviare alle docce e cioè a gassare subito, a destra quelli ritenuti in grado di fornire lavoro servile per le imprese tedesche di guerra, sino al successivo sterminio)? Ti rivolgesti a me dicendomi solo ‘Scusami, Franco’ perché non ti eri mai fatto vedere spogliato”.
Tutto qui. Da una parte, un’antica cultura del decoro; dall’altra, l’incredibile barbarie (tanto incredibile da portare tanti al silenzio per decenni). Da una parte, la dignità e la libertà; dall’altra, il disprezzo codardo dell’umano.
Per non dimenticare. Ora e sempre Resistenza.

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