Ritessere

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Sono uno dei primi figli del secondo dopoguerra, accolto con gioia dopo le tragedie della guerra fascista e della Shoà nazista. E ho passato i primi decenni della mia vita a sentire le storie di famiglia, incentrate sulla persecuzione anti-fascista, tra zii al confino, professori cacciati dal 1925 perché avevano rifiutato di aderire al regime, carcere dal 1942 per mia madre 24enne accusata di cospirazione un anno prima della cacciata di Mussolini, genitori in armi nella Resistenza romana.

Uno degli insegnamenti che mi sono stati trasmessi riguardava una triplice necessità. Quella di tenere accesa la fiammella democratica e socialista anche nei lunghi, cupi decenni della dittatura. Quella di non perder mai la speranza in un futuro migliore, pur se minoritari e perdenti. Quella, infine, di ricominciare ogni volta – dopo nuovi arresti e condanne del Tribunale Speciale – a riannodare i fili spezzati dell’opposizione rivoluzionaria.

Quell’attività ininterrotta, fatta di cadute e riprese, è stata alla fine vincente, ma solo perché alcuni – donne e uomini – non avevano smesso, prima della Resistenza, di ritessere ogni giorno la tela strappata dalle forze del Male, sul modello di Penelope, la sposa di Ulisse (che invero era lei a distruggere di notte per rinviare il suo cedimento ai Proci).

Forse è anche per questo imprinting che, malgrado il suicidio della sinistra italiana, continuo a essere ottimista. Un po’ perché questo sistema economico-sociale mi appare destinato a implodere. Un po’ perché noto molti grumi di opposizione alla barbarie montante: quei semi di futuro che difendono la specie e preparano, tra mille difficoltà, un domani diverso. Come negli anni ’20 e ’30 del Novecento, contro gli stessi nemici un poco ridipinti: il fascismo, il razzismo, il nazionalismo, il populismo, il capitalismo finanziario e imperialistico, l'(in)civiltà delle macchine, il tracollo etico.

 

Credits: dal web

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