Ravanelli

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Non mi riferisco alla pianta della famiglia delle Brassicaceae con le sue tipiche radici rosse. No, qui parlo degli abitanti della provincia di Ravenna, definiti appunto Ravanelli dai vicini forlivesi, che li considerano contadini poco svegli, un po’ rozzi, ignoranti, incapaci di guidare. Siamo nell’ambito del mini-razzismo tipico di ogni contrada, quello che – di solito scherzosamente – porta a disprezzare un gruppo sociale anche prossimo sulla base di vecchi stereotipi. Dunque, una micro-ostilità falsa e da deplorare.

Senonché anni fa mi capitò, durante un viaggio in Finlandia, di muovermi in auto su un’interminabile strada statale, perfettamente rettilinea, tra foreste e laghi. A un certo punto notai una macchina che non riusciva a procedere dritta. Accelerai per superarla, temendo che fosse condotta dal classico scandinavo ubriaco. E invece notai la targa di Ravenna… Dunque, un Ravanello spuntava nel profondo Nord e confermava la diceria.

La questione non è di poco conto: gli stereotipi tendono a essere confermati, non perché siano veri ma perché il nostro sguardo (pieno di pregiudizi) vede quel che rafforza le nostre convinzioni pregresse, che tendono ad auto-alimentarsi e a rafforzarsi. Per resistere dobbiamo sforzarci di notare quel che ci smentisce: l’arabo veritiero, l’ebreo generoso, il nero che non sa ballare, il meridionale non pigro, il gesuita confuso, eccetera. Ah, il Ravanello che guidava aveva un vecchio cappello: sapete, come quello degli antichi braccianti che guidano da cani…

Perché ho scritto tutto ciò? Per ricordare che il razzismo è una mala pianta infestante che nasce ovunque e danneggia i rapporti con gli altri.

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