Nudi alla meta

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Nudità è un vocabolo che, ovviamente, indica l’essere nudi, senza vestiti o coperture: in generale o con particolare riferimento ai capelli (nudità come calvizie) o agli organi sessuali (talora citati tout court come le nudità). Ma si parla anche di natura nuda, spoglia, brulla. E pure di semplicità, sobrietà, mancanza di ornamenti, essenzialità, totale trasparenza, massima intimità.

La mia impressione è che, anche qui, la storia pesi: certo, la quota di corpo esposta è assai cresciuta negli ultimi decenni; il nudismo è fenomeno sociale più accetto (e sempre più scollegato dalla sessualità); il porno senza limiti spopola on line. Eppure una certa demonizzazione proveniente dal passato persiste, a volte non consapevole: col risultato che spesso il dissenso riemerge contro i corpi svelati, certo Appennino scabroso e sassoso, la tendenza ad aprire il proprio animo e a svelare le passioni più riposte, e così via. Senza dubbio, siamo di fronte a tendenze repressive e re-azionarie, che trovano il Bene al di fuori dal corpo, dall’ambiente povero, dal confessarsi in pubblico.

Ma forse qualcosa di diverso emerge, non del tutto deplorevole: la preferenza per esperienze non urlate; il gusto d’un qualche decoro (scelto, non imposto); la tutela d’una certa intimità, vicina alla riservatezza, al pudore dei sentimenti, alla privatità non egoistica.

In un film francese d’una decina di anni fa una giovane madre accompagnava un figlio adolescente e totalmente ‘liberato’ in un campeggio nudista francese, ove lei restava sempre in bikini, visibilmente deplorata al supermercato interno e in ogni occasione sociale. Al ragazzo che la criticava rispondeva “ho i miei piccoli segreti”. Al marito, che veniva a trovarli nel weekend e che si spogliava per dimostrarsi evoluto, raccomandava di evitare ogni erezione per non venir giudicato all’antica. D’altra parte la tv di Maria De Filippi e di altre è per molti pura pornografia…

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