Morire, che cosa curiosa!

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Cercar di (ri)trovare se stessi, di auto-realizzarsi, porta spesso a interrogarsi sulla morte, termine ultimo del nostro vivere terreno: ciò risulta anche dall’esperienza dei ‘racconti di sé’ che Sòno raccoglie.

Gli atteggiamenti più diffusi variano assai. Dal terrore, connesso all’ansia della perdita totale, al favore, derivante dalla fede nell’eterna salvezza. Dall’indifferenza (“me ne occuperò a tempo debito”) alla speranza (“finalmente un po’ di pace dopo tante sofferenze”). Dalla tristezza (“non vedrò crescere i miei amati nipoti”) alla rabbia (“ho ancora tante cose da fare”).

Ho incontrato gente che usa l’ironia, come la mia amica Nichi, che dice “spero di conoscere in dettaglio i colpevoli di Ustica e dei tanti misteri insoluti delle stragi italiane”. E gente che cita Lucrezio: “quando ci sono io non c’è la mia morte, quando ci sarà lei non ci sarò più io”. Di più: alcuni evocano la perseveranza delle nostre tracce (le opere che restano, l’amore e i ricordi delle persone care, ecc.), ma ciò serve solo ad attutire e a spalmare nel tempo il dolore della scomparsa.

E io? Ho un atteggiamento forse singolare. Sono da sempre serenamente ateo: rispetto e studio le esperienze religiose ma trovo non necessaria l’ipotesi di Dio, che pure ha un’immensa potenza ispiratrice per molti. Provengo da una famiglia illuministica di ‘liberi pensatori’. Sono quasi certo che a un certo punto cesserò di esistere e tornerò polvere. Ma… Ma, da buon illuminista, esalto il dubbio, rifiuto le certezze assolute.

E allora vado di fronte alla mia morte con curiosità. Penso: sarà interessante vedere se c’è un dopo (e quale), dunque se sarò smentito. Se ciò accadrà non potrò dirvelo. Lo scoprirete voi al momento del vostro ‘exit’. Se avrò avuto ragione, è stato bello conoscervi. Se avrò sbagliato, arrivederci (spero non ‘a presto’).

Credits: da Hans Holbein, Dance of Death

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