L’urlo silenzioso

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Ci sono sguardi che cerchiamo di non vedere, poiché ci turbano, ci angosciano per la loro disperazione senza speranza. Tentiamo di non incrociarli e, quando ci capita, fingiamo di non coglierli, per non essere disturbati e talora per non esporci al loro contagio. Sono gli sguardi che gridano senza proferire verbo: quelli delle donne e degli uomini sofferenti che non hanno mai avuto o hanno perso la voce per lamentarsi, piangere, inveire, chiedere aiuto.

Scopriamo la disperazione afona, senza suono: doppia per ciò che la causa e per l’impossibilità di darle voce, per il carcere interiore in cui è reclusa. Eppure dovremmo sentirla, al fine di metterci in relazione con essa interrogando il muto urlante, aprendo una via di comunicazione.

Si tratta di un umano soccorso, della risposta a un appello segreto: un dovere per noi privilegiati, un piacere che dà senso alla nostra vita. Il dottor Torti, l’ottimo pediatra dei miei figli, ci diceva sempre che, se un bimbo piccolo grida di dolore, il problema è facilmente curabile, mentre la situazione può essere grave se appare catatonico, spento, silente (“non chiamatemi, portatelo subito in ospedale”). Lo stesso vale per chi non esprime il suo dramma: è proprio allora che dobbiamo porre orecchio a quell’appello muto. L’ascolto non ha a che fare solo con l’udito…

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