La genialità dei tartàdromi

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Per essere felici è meglio correre o camminare lentamente sulle strade della vita?

Vecchia domanda, rilanciata da un bell’articolo della filosofa Donatella Di Cesare su L’Espresso, che analizza la bipartizione degli umani in ‘rallentisti’ e ‘velocisti’. Per usare un riferimento al mondo animale, si può parlare di tartarughe e ghepardi, anche se a questi ultimi preferisco i dromedari, poiché ‘dromos’ in greco significa velocità.

Ho scoperto due volte, in modi diversi, che esiste una terza via, utile a essere consonanti con sé. Anni fa, alcune indagini campionarie di AstraRicerche su ‘Gli Italiani e il tempo’ confermarono e misurarono una permanente contrapposizione: da un lato, i lenti (suddivisi in sereni riflessivi e in emarginati con esistenze senza stimoli); dall’altro lato, i veloci (a loro volta bipartiti tra eccitati desiderosi di continuare così e stressatissimi logorati dai super-impegni). Ma con un ulteriore tipo o cluster: gli ‘e… e…’, ossia gli alternanti momenti lenti e momenti veloci.

Nel dialogo con le persone che seguono i percorsi di Sòno ho ritrovato anche questi ultimi, un po’ tartarughe e un po’ dromedari. Con un’aggiunta: dagli esercizi che aiutano a misurare il grado di consonanza con sé emerge con chiarezza che sono proprio i tartàdromi ad aver maggiori probabilità di auto-realizzarsi, godendo – a seconda delle fasi (della vita ma anche solo della settimana) – dei benefici di centellinare pian piano o di ingurgitare in un attimo quella bevanda che è l’esistenza. Non gioca a loro favore solo l’esperienza doppia, arricchente. Conta anche la libertà, dato che la netta maggioranza dei nostri connazionali non può scegliere i propri ritmi di vita, imposti da un’organizzazione sociale rigida e colonizzatrice, talora feroce.

I tartàdromi oggi non possono essere che una minoranza reale e un obiettivo per numerosi neo-schiavi, quelli che la De Cesare non prende in considerazione.

Credits: Sara Bodini

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