Inversione dei ruoli

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Questa vecchia, adorabile pubblicità del Borotalco mostra – a ben guardare – un’inversione dei ruoli. Quel prodotto, in genere, veniva usato dalle mamme a fine bagnetto per asciugare l’umidità sulla pelle dei pargoli: io stesso ricordo quella che a me pareva un’infarinatura come per le cotolette, prima di metterle in padella.

Qui, invece, è il bambino a riempire di polvere bianca il corpo della mamma, assai discinta con quasi un capezzolo in vista (ma pura come una madonna).

La rotazione dei soggetti e dei compiti ha tre obiettivi: sorprendere, attirando l’attenzione; comunicare che il talco (e quel talco!) è delicato su ogni pelle; allargare il target dalla cura degli infanti al vasto mondo degli adulti (specie delle donne, presentate come burrose e vagamente – ma innocentemente – sexy).

Ora, l’inversione dei ruoli implica flessibilità, gusto dell’innovazione, voglia di stupire, al fondo capacità di mettere in campo un inedito angolo di visuale.

Essa non è mai banale, talché il gioco dei ruoli è spesso causa e conseguenza di una specifica abilità: quella di mutare il proprio sguardo sulla realtà, premessa di ogni sforzo per modificarla.

A 6 anni giocavo a “Facciamo finta”, che richiedeva a metà dei fanciulli di fingere di essere un’altra persona (per esempio la maestra) o un animale (chessò, una mucca). L’altra metà sceglieva il più bravo o la più brava: non a imitare, ma ad assumere il punto di vista della maestra o della mucca. Era un esercizio trasformativo. E lo è ancora.

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