Infinito, finito

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L’infinito è un concetto matematico, geometrico, filosofico, religioso, letterario, eccetera analizzato relativamente tardi nella storia, ma presente agli umani da lunghissimo tempo, come mostrano varie incisioni rupestri plurimillenarie e oltre.

Ricordo di averlo intuito quando a cinque anni chiesi a mio padre quanto fosse grande il mondo. A ogni crescente grandezza che gli indicavo lui rispondeva “di più, molto di più”. Il che mi fece capire che l’infinito è sempre – alla lettera – incommensurabile.

A scuola il buon maestro Iazzetti, insegnante dei due ultimi anni delle elementari, mi premiò per aver trovato il miglior esempio semplice di infinito. Era la filastrocca, a tutti nota “C’era una volta un re, seduto sul comò, che disse alla sua serva ‘raccontami una storia’. La serva cominciò ‘c’era una volta un re, seduto sul comò, che disse alla sua serva …”, per l’appunto all’infinito.

Trovai la rappresentazione definitiva nel quadro di Escher che mostra una stanza con uno specchio, nel quale si vede la stanza con lo specchio, che rappresenta la stanza con specchio, con la stanza con lo specchio, ecc. appunto senza fine.

Ora, nell’ultima fase (spero lunga) dell’esistenza, credo di aver capito o forse solo intravisto e sentito cos’è l’infinito, quel che è sempre senza origine e senza fine. È un utile strumento per ognuno di noi, che serve a comprendere e accettare la finitezza, il limite. Ossia ciò che ci fa umani: fragili, fallaci, semi-impotenti, proprio perciò propensi a guardar oltre e stupirci. E il naufragar c’è dolce in questo mare.

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