Il robot triste

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C’è in giro una grande preoccupazione relativa alla robotizzazione dell’economia e della società, al passaggio dall’attuale fase dei robot al servizio degli umani alla prossima della schiavitù di questi ultimi al servizio dei robot. Non sarei così impaurito.

Certo, si rischia un ‘di più” di inoccupazione e disoccupazione, di precarizzazione e di sotto-remunerazione, di difficoltà di autorealizzazione. Ma l’idea che certe ‘macchine’ possano del tutto dominarci mi pare poco realistica.

I robot sanno e sapranno mimare sentimenti: la gentilezza, la sorpresa, la sicurezza in sé, l’affettuosità, ecc.. Magari sapranno riconoscere talune emozioni dell’umano e reagire in modo congruo, come detterà un algoritmo utilizzante i big data. Potranno differenziarsi per ‘personalità’, interlocutore e contesto. Ma non avremo mai un robot con l’insieme delle possibili emozioni umane: in futuro ne manifesteranno molte ma non tutte. Non interagiremo con robot del tutto imprevedibili: saranno sorprendenti e spiazzanti ma sempre relativamente rigidi. Non ci misureremo con robot davvero capaci di gioire o soffrire al di fuori di modalità note e codificate, davvero capaci di morire d’amore o di godere dei dolori altrui.

Abbiamo già robot che paiono sereni e felici, magari imitanti ET, ma non saremo turbati da robot davvero e misteriosamente tristi, senza un perché. Potranno sempre più imitare la mente umana, ma non la coscienza di sé; le emozioni stereotipate, ma non quelle vere e imperscrutabili; i rozzi nessi tra corpo e psiche, ma non l’anima o come vogliamo chiamarla.

Oggi il punto è un altro: perché tutta quest’ansia attuale per una temuta schiavizzazione? Al di là dei rischi occupazionali e reddituali, cosa evoca il terrore della dipendenza? Quali fantasmi fa riapparire la dilagante robot-fobia?

Per oggi fermiamoci alla domanda, lasciando solo un indizio: dall’esperienza di Sòno deriva il sospetto che i robot onnipotenti ritirino fuori la terrificante esperienza infantile dell’esproprio di autonomia, creatività e felicità che molti bambini dei due generi hanno sofferto da parte di ‘autorità’ soffocanti e iper-normative, che pur si presentavano come adulti forti e al servizio del figlio o dello studente.

L’idea del robot onnipotente ci rende tristi, mentre l’impossibilità di un robot misteriosamente triste dovrebbe rassicurarci.

Credits: Davide Bonazzi ( http://www.davidebonazzi.com )

6 commenti su “Il robot triste”

    • Ci sono già dei robottini che puliscono dappertutto il pavimento, anche negli angoli più riposti. Se pensi ad un robot sappi che non avrai mai soddisfazioni…

  1. Usiamo così poca parte del nostro cervello che neppure noi sappiamo cosa potremmo fare. Pensare che una macchina frutto del poco cervello che usiamo possa sovrastarci mi sembra follia. Anzi credo che ci aiuterà a sfruttare sempre piu’ e meglio il nostro “motore intellettivo” e a scoprire che certe funzioni oggi proprie solo dei geni o dei pazzi (dipende dai punti di vista) sono dentro tutti noi. A patto che l’ignoranza che tende ahimè a dilagare non prenda il sopravvento. Certo in Italia una classe dirigente come la nostroa, mediamente incapace e corrotta, non aiutano a ben sperare. Ma se la ragazzina svedese ci aiuterà a risvegliarci allora avremo tempo per scoprire che il nostro cervello resterà imbattibile per svariati millenni.

    • Grazie Massimo delle tue considerazioni. Esprimo però un dubbio. Da secoli ci hanno rifilato la promessa del potere liberatorio delle tecnologie. L’esperienza storica mostra che il loro utilizzo è quasi sempre nelle mani di un potere via via più concentrato. Solo con una forte pressione sociale potremo ottenere di ricavare benefici dai robot e non di derivarne un’ulteriore, stringente, dipendenza espropriatrice.

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