Far finta di nulla

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I peccati sono di due tipi: quelli di azione (far qualcosa di ‘brutto’ e dannoso) e quelli di omissione (evitare di fare qualcosa di ‘bello’ e utile).
Lo stesso vale per il giornalismo, specie quello degli opinionisti, che – per interessi personali e per servire i potenti – dicono o scrivono falsità oppure omettono di dare notizie  parlando d’altro.
Un buon esempio si osserva in queste settimane, a proposito dei consumi privati, delle marche, della pubblicità o simili.
Sui primi, si dice che le spese delle famiglie sono in calo per colpa del tracollo dei redditi e del clima di incertezza. Ma si nasconde il fatto (già evidente prima del Covid) che è in atto una tendenza alla ‘deconsumption’, cioè al disinvestimento psico-culturale dalla frenesia degli acquisti, dal cosiddetto consumismo: il consumo sta divenendo sempre meno rilevante per molti Italiani, i quali hanno capito che si vive benissimo (anzi meglio) senza troppi beni e servizi, poiché altre sono le ‘cose’ che permettono un’esistenza piena e felice. Certo, ciò è meno vero nelle classi povere e semi-povere, che non riescono a soddisfare i bisogni primari. Ma i ceti medi e superiori hanno iniziato a prender le distanze dai prodotti, dalle merci, da ciò che rientra nel circuito monetario.
Lo stesso vale per le marche o brand, sempre meno identificate con la qualità e la sicurezza, sempre meno certificanti e amate.
E vale pure per la pubblicità, il cui ruolo si è ridotto per il drammatico tracollo della sua credibilità, anche per l’evidente allontanamento dai bisogni del ‘target’, come si è visto e misurato – tramite ricerche passate sotto silenzio – nel trimestre dell’isolamento, quando la gente s’è resa conto dell’idiozia di molti messaggi.
Ma quasi nessuno parla di tali fenomeni. E ora in tanti pensano di tornare all’antico, chiamato ‘new normal’. Ne pagheranno le conseguenze.

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