Elogio del coraggio

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Il coraggio è un insieme di skill o, per usare un termine più antico e più bello, di virtù. Coraggio è, anzitutto, la capacità di accollarsi dei rischi (se questi non esistono, non esiste coraggio) vincendo le proprie paure. In questo senso coraggio è sinonimo di imprenditività, è capacità di costruire soluzioni nuove a problemi vecchi o soluzioni nuove a problemi inediti in una condizione non garantita, nella quale l’alea è significativa.

Con un’aggiunta: essere coraggiosi non vuol dire essere irresponsabili, ma avere – a volte con lucida prudenza – il gusto, il piacere dell’innovazione, della reazione alle sfide della vita. Alla base, esso non può che avere il libero arbitrio: il coraggio è legato all’esistenza di alternative. In effetti, se non hai più opzioni tra cui scegliere non puoi essere coraggioso, sei solo costretto a seguire l’unica strada possibile.

Il coraggio si lega inscindibilmente all’umana possibilità (sempre parziale e imperfetta) di determinare il nostro destino facendo un calcolo (a volte rapidissimo, sommario, intuitivo) delle opportunità e dei rischi, decidendo di accettare questi ultimi.

Il coraggio è scelta ma non sempre la scelta è coraggiosa: può essere valida, lucida, razionale, anche furba ma spesso è semplicemente ovvia, conformistica, auto-protettiva. La verità è che il coraggio implica un certo grado di divergenza dalle opinioni correnti, di contrapposizione all’andazzo dominante, di oppositività.

Tutto ciò, a me pare, mette in luce il potenziale carattere etico e innovatore del coraggio, oltre che la sua indispensabilità in una società – come la nostra – in crisi d’innovazione e di produttività, schiacciata dalla reiterazione e dal conformismo, infragilita da insopportabili disuguaglianze sociali, carente di leader, in arretramento impaurito e depresso.

Credits: Charles Ebbets

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