Brutti ricordi

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Lo avrete notato: quando qualcuno muore, il ‘de cuius’ tende, per chi resta, ad ascendere in cielo, precedendo l’eventuale giudizio divino. Al di là dell’umano dolore dei suoi cari, il defunto viene descritto come un santo, un martire, un supereroe. Una conferma viene dai necrologi, nei quali emergono solo le virtù e mai i difetti, gli errori, le miserie, i crimini.

Questa premessa vale per molti che ho conosciuto e in particolare per Sergio Marchionne, del quale pressoché nessuno ha messo in luce il suo esser stato un manager assai discutibile (alla lettera: che può essere discusso). Proverò io a fare il Pierino sulla base di qualche ricordo personale.

Un primo aspetto, a mio parere negativo, riguarda la sua responsabilità nel sottrarre all’Italia il governo del cruciale settore automotive, aggiungendolo al lungo elenco dei comparti e delle imprese emigrati all’estero (ricordo in proposito un aureo libretto di Luciano Gallino, aggiornato a una decina di anni fa).

Marchionne partì rivendicando l’italianità della Fiat sull’orlo del fallimento, tentò poi più volte di venderla alla General Motors, indi passò alla Chrisler, che salvò coi soldi dei contribuenti americani (ah, il liberismo a chiacchiere!), portando infine la sede del controllo effettivo a Detroit e di quello legale in Olanda (naturalmente parlando di ottimizzazione, paroletta magica dei disastri finanziari). Niente di straordinario: è la logica apolide del capitale, acuita dalla storica tendenza degli Agnelli a non finanziare adeguatamente la loro impresa (vero esempio del capitalismo senza capitali ‘italian style’). Ma almeno avrebbe potuto risparmiarci la retorica nazional-popolare degli spot pubblicitari scritti di sua mano, che conobbi bene avendoli ‘testati’ come ricercatore di marketing. Oggi siamo passati alla vendita a PSA, fatta passare per partnership paritetica. E il bello è che nessuno ha fiatato, a partire dai nostri sedicenti sovranisti senza cultura e senza sovrano.

Poi rimembro l’atteggiamento verso i lavoratori e i sindacati: all’inizio rispettati e persino esaltati dal Marchionne ‘socialista’, poi odiati quando osarono opporsi a talune sue scelte di sfruttamento (se il termine vi turba, usate il più elegante ‘exploitment’, che pare evoluto in quanto inglese).

Ricordo il passaggio improvviso dalla (presunta) simpatia all’odio verso la FIOM, colpevole di fare il suo mestiere. Il Nostro, autoritario e paranoicamente instabile, cercò in ogni modo di ‘far fuori’ il nemico di classe, anche con azioni sanzionate dalla magistratura; uscì dalla Confindustria; cercò di affermare un nuovo modello di relazioni industriali, all’insegna del prepotere degli imprenditori; mirò a mobilitare senza successo l’equivalente della ‘marcia dei 40mila’; ottenne l’ovvio consenso della destra da sempre ‘serva dei padroni’ e di Matteo Renzi; riuscì a ridurre alla metà le dimensioni italiane del Gruppo; perse quote di mercato in tutt’Europa; semi-uccise l’Alfa Romeo (mai più davvero ripresasi) e la Lancia (ridotta alla Y10). Un trionfo!

Nel contempo – ne fui testimone – impose scelte folli. Due esempi. Rinviò per anni il lancio della nuova 500, suggerita da Lapo Elkann, forse non un genio ma trattato volgarmente a pesci in faccia nel comitato del marketing, a cui partecipavo ogni settimana; indi indebolì tale lancio, dimezzando la produzione suggeritagli dai tecnici interni, solo perché non sentiva suo il progetto (salvo rivendicarlo due anni dopo come propria creatura). Preso dal complesso di Crono, costrinse ad andarsene Luca de Meo, il suo giovane manager più brillante, prima adorato e poi ostacolato solo perché divenne geloso della crescita di notorietà dell’ex-pupillo. Così divoro altri ‘suoi’ dirigenti, sottoponendo tutti gli altri a un super-sfruttamento feudale, di chi voleva affermarsi ogni ora del giorno e della notte come il Re Sole.

Nel frattempo continuava a lavorare per altre imprese non del settore; manteneva la residenza nel miglior cantone svizzero (migliore per la cosiddetta ottimizzazione fiscale); percepiva redditi da lavoro e da stock option maggiori dei salari dei suoi operai nell’ordine delle migliaia di volte.

Lo ricordo così: umanamente sgradevole, talora sadico, sempre feroce, durissimo (e perciò ammirato dai corifei del potere), certo più capace della gran parte dei manager nostrani. I media, inchinati, ne esaltavano i maglioncini scuri.

Non ho pianto quando è morto. Non lo faccio ora. Ho sofferto per i lavoratori morti nelle ‘sue’ fabbriche, per i ‘suoi’ cassintegrati alla fame, per i suicidi da lavoro (quel lavoro!). Resto un vecchio ‘leftist’, come il regista Ken Loach: preferisco il rosso delle bandiere a quello della Ferrari (che con Marchionne non ha più vinto).

Questo è il testo pubblicato in originale sul bel blog Mixtura di Massimo Ferrario il 19 novembre 2019

3 commenti su “Brutti ricordi”

  1. È certamente una chiave di lettura del personaggio Marchionne condivisibile, anche se mai vista su giornali, televisione ed altri mezzi d’informazione. Peccato!!!

  2. Una lettura insolita che solo chi lo ha frequentato con adeguata professionalità può ricordarlo post mortem senza usare una pietistica ipocrisia

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