Altri tempi?

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Guardate questa foto, scattata a Napoli nel 1951. Mostra un caseggiato fatiscente del Rione Sanità, privo di ogni manutenzione e lesionato dagli spezzoni delle bombe lanciate da navi americane.

Ai balconi sono appesi i panni da asciugare, dall’alto viene calato un piccolo cesto per ritirare la spesa, le donne chiacchierano da piano a piano urlando com’è d’uso. Il tutto – pur povero – è animato, vivace, allegro.

“Altri tempi!” dirà qualcuno, magari – tra i meno giovani – con un pizzico di nostalgia (dal greco: il dolore del ricordo).

Io stesso ho vissuto, in una casa semi-centrale di Milano, le esperienze dei venditori di barre di ghiaccio utili per conservare alimentari e bevande prima dell’arrivo dei frigoriferi; i carri trainati da robusti cavalli con le lenzuola da lavare o lavate; gli organetti di Barberia a rullo che facevano ascoltare musiche antiche; i molatori di coltelli su apposito triciclo; i suonatori di zampogne: tutta gente che riceveva o consegnava i prodotti e i soldi tramite cestoni, ambulanti a domicilio.

Oggi parliamo di delivery, di shopping experience, di personal marketing, di pagamenti istantanei, di superamento degli store fisici. Ma non era così anche allora?

E ora rivendichiamo il recupero della vita di caseggiato e di quartiere, il superamento dell’anonimato senza relazioni con gli altri, eccetera. Ma non lo abbiamo già sperimentato per millenni?

Siamo sicuri che il ritorno al futuro non possa essere anche un ritorno al passato, ‘mutatis mutandis’ naturalmente (espressione latina che in prima media traducevamo ridendo in ‘cambiate le mutande’)?

 

Credits: dal web

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