Addio o arrivederci

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Date un’occhiata ai necrologi : quando qualcuno muore, facciamo fatica a dire questa semplice verità. Troviamo mille altre espressioni: la dipartita, il viaggio, la scomparsa, “ci ha lasciato”, “è salito in Cielo”, “ha raggiunto l’amata Cesarina”, “è volato tra gli angeli” (se di pochi mesi o anni), “ha raggiunto la Casa del Padre”, ecc. ecc., in genere con espressioni da agenzia di viaggio.

Meglio, secondo me, guardar la morte in faccia e nominarla come tale (e non come “la grande falciatrice” che ho letto su una tomba).

Resta, comunque, il problema del saluto, che non è il ricordo (sempre prezioso anche se a volte un po’ magnificante il defunto) ma proprio la parola o il gesto che accompagna chi se ne va.

Da ateo tenderei a preferire l'”addio”, più realistico e definitivo. Che ha, però, una contro-indicazione: viene usato anche per chiudere volontariamente il rapporto con qualcuna o con qualcuno.

Per cui, malgrado la mia assenza di fede in un aldilà, preferisco usare un affettuoso “arrivederci” o magari un colloquiale “ciao”: per dire a tutti che la morte non interrompe le relazioni, ne muta solo il carattere e le modalità. Gli affetti restano.

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