Abbiategrasso

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A proposito delle storielle di vita, invocate da alcuni lettori, eccone alcune basate sulla stessa percezione.

Mia nonna, nata nel 1886 e morta quasi cent’anni dopo, teneva sopra la testata del letto la foto a grandezza naturale di una bambina di circa otto anni, ritratta poco prima della sua morte per l’influenza spagnola, che alla fine della prima guerra mondiale falcidiò più persone dello stesso insensato conflitto. Era una delle sue figlie, la cui grandissima immagine mi faceva un po’ di paura. La triste defunta si chiamava Gilda, ma la nonna la citava sempre come ‘la povera Gilda’, talché per anni credetti che il suo nome fosse ‘Poveragilda’.

Alle elementari, il buon maestro Jazzetti chiese se qualcuno in classe poteva fare un esempio di verbo imperativo: mi alzai e gridai Abbiate Grasso, secondo me non un comune lombardo ma la richiesta di metter su peso.

Lo stesso capitò con mia nipote Matilde quando aveva quattro anni: richiesta di dire se sapeva chi era Brontolo, non esitò a rispondere: “Certo, nonno: è un settenano”.

Sua sorella minore, Camilla, che aveva sentito suo padre (mio figlio maggiore) parlare con eterno disprezzo di un’avversaria veneta dell’amato Milan, l’ha chiamata a lungo ‘merdaverona’.

Un po’ come le pie vecchine che ripetevano ignare il latino dei preti pre-conciliari: santa ignoranza (santignoranza?).

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